RECENSIONE: Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione di Nils Melzer

L’autore, Nils Melzer, non è uno qualunque: dal 2016 al 2022 è stato relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura.

Incappa quasi per caso nell’odissea giudiziaria del leader di Wikileaks, Julian Assange: la prima reazione è infastidita, come è possibile ritenere che un tipo del genere, accusato di stupro da una delle più quotate democrazie planetarie, la Svezia, sia sottoposto a tortura?

Lo studio del caso, certosino e accurato, lo porta a cambiare radicalmente opinione e convincimenti.

Mils Melzer giunge alla conclusione che ben quattro governi (USA, Regno Unito, Svezia e Ecuador) per oltre dieci anni abbiano sottoposto Julian Assange a torture fisiche, mentali e psicologiche degne dei peggiori regimi autoritari, raccontando o costruendo castelli di pratiche basate sul falso e la mala fede.

La ragione di tutto ciò? Far capire a tutti i whistleblower  (ovvero quei cittadini che denuncino le condotte illecite, o pericoli di cui sono venuti a conoscenza, all’organizzazione stessa, all’autorità giudiziaria o le rendano pubbliche attraverso i media o le associazioni ed enti) del futuro che rendere pubbliche le malefatte e le azioni illegali di uno stato può costare molto caro, sino a rimetterci la vita o la salute mentale.

Il tutto con buona pace della libertà di stampa e del diritto dell’opinione pubblica a essere informata.

Un testo appunto certosino e che, a un primo approccio, può sembrare eccessivamente documentato e “preciso”: un’ulteriore dimostrazione, da parte dell’autore, di come anche lui sia stato sottoposto a fortissime pressioni da parte di chi perseguitava e perseguita non tanto Julian Assange, ma tutti coloro che hanno il coraggio di essere onesti con sé stessi e il mondo.

Disponibile presso la biblioteca del Centro Eirene.

RECENSIONE: Fine della guerra (LIMES)

Limes ed. aprile 2024

È sufficiente un articolo, due lettere, perché un significante acquisti diversi significati.

Lo stesso accade per questa monografia, dove è sufficiente mettere davanti a “fine della guerra” l’articolo “il” piuttosto che l’articolo “la”, affinché si affrontino due argomenti differenti, anche se collegati.

“La” fine della guerra è quella che tutti gli umani auspicano sin dagli albori della storia: un auspicio particolarmente sentito in questi ultimi due anni da noi europei, prima scioccati dalla guerra ucraina, poi dall’ennesimo conflitto arabo israeliano.

Ma una guerra per terminare, per finire, richiede che i contendenti, o almeno quello che poi prevale, abbia ben chiaro quale è l’end state che vuole raggiungere, ovvero “il” fine: e, nelle guerre che osserviamo sui social in questi mesi, l’obiettivo dei conflitti in corso non solo appare sfumato e nebbioso (qui siamo figli dei conflitti tipo “guerra al terrorismo”) a noi spettatori, ma anche e soprattutto ai contendenti.

È una situazione che questa monografia di Limes prova ad affrontare, ma non aspettatevi risposte esaustive e definitive: in fin dei conti la fog of war è un’altra caratteristica ambientale dei conflitti armati.

Disponibile presso la biblioteca del Centro Eirene.