RECENSIONE: 1942: l’arresto della Wehrmacht di Robert M. Citino

Il presente volume costituisce il primo di una serie di quattro (tutti disponibili presso la Biblioteca Eirene) in cui l’autore analizza non solo il “modo di fare la guerra” della Wehrmacht hitleriana, ma soprattutto le sue radici storiche e forsanche filosofiche.

Il 1942 determina la svolta del secondo conflitto mondiale. Dopo l’entrata in guerra del Giappone, e conseguentemente degli USA, il primo semestre di questo anno vede l’esercito tedesco inanellare una serie di vittorie spettacolari: Kerch, Kharkov, Gazala, Sebastopoli.

Le prime tre avvengono nel mese di maggio, a una settimana di distanza l’una dall’altra, mentre a giugno si assiste alla presa della città della Crimea.

Tuttavia, sono sufficienti pochi mesi e, tra l’ottobre e il dicembre dello stesso anno, la Wehrmacht subisce le disastrose sconfitte di El Alamein e di Stalingrado.

La fine del 1942 sancisce sostanzialmente la sconfitta di un modo di fare e di intendere la guerra “prussiano-tedesco”, sviluppatosi e teorizzato da Federico il Grande in poi.

Termina il periodo dove la guerra è una “arte”, affidata alle mani e alla mente di comandanti dotati di grande autonomia, dove il motto era quello del generale prussiano Seydlitz,  il quale, disobbedendo a un ordine, esclamò: “Dite al re che, dopo la battaglia, la mia testa è a sua disposizione, ma nel frattempo spero che mi dia il permesso di usarla al suo servizio”.

Le sconfitte di El Alamein e di Stalingrado dimostrano che un certo tipo di “storia” è finito: la radio impone il comando “politico” agli ufficiali in campo, il modo industriale, sovietico e anglo-statunitense, sommergono la genialità del singolo ufficiale con l’inesauribile quantità di materiali e di uomini.

Nonostante ciò, la Wehrmacht, nei successivi diciotto mesi, sarà ancora un avversario forte delle sue tradizioni: un avversario temibile, ma volutamente ignaro di aver fatto il suo tempo.

Disponibile presso la biblioteca del Centro Eirene.

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