“La guerra non esiste più”: con queste parole Rupert Smith non intende dire che nel mondo non si combatte più, bensì che la guerra come l’avevamo conosciuta fino a pochi decenni fa – la “guerra industriale” dove il trinomio stato-esercito-popolo dedicava tutte le sue energie per imporre la propria volontà all’avversario di turno – è stata sostituita da quella che egli chiama “guerra fra la gente”. Il campo di battaglia è oggi costituito dalle strade, dalle case e, soprattutto, dalla popolazione civile, come è avvenuto in Cecenia e Jugoslavia, in Medio Oriente e nel Ruanda.
Ostaggi da sfruttare, scudi umani da utilizzare senza scrupoli, bersagli da colpire, i civili sono obiettivi da conquistare.
Rupert Smith, giustamente, scrive di un nuovo “paradigma” bellico che ha minato la possibilità di uso efficace della forza da parte degli Stati.
Il saggio è interessante non solo per il percorso storico che l’autore propone a sostegno della sua tesi, ma anche e soprattutto perché è confermato dall’esperienza “sul campo” fatta da Rupert Smith durante una delle guerre della ex-Jugoslavia, e precisamente quella della Bosnia Erzegovina (ricordate l’assedio di Sarajevo da parte dei serbo-bosniaci?): una “guerra tra la gente” in cui l’autore ha ricoperto lo scomodo ruolo di comandante delle forze ONU in Bosnia, gestendo in prima persona il più contemporaneo modo di condurre un conflitto armato.
Disponibile presso la biblioteca del Centro Eirene.